Tracce antiche dimostrano che i cavalli spuntarono per la prima volta in Nord America circa quaranta milioni di anni fa, ma dopo essere migrati in Asia attraverso il collegamento del ponte terrestre di Bering, scomparvero dal continente americano almeno 10.000 anni fa.

Per millenni così, i nativi americani viaggiarono e cacciarono perciò a piedi, affidandosi soltanto ai cani da utilizzare come piccoli animali da soma.

I cavalli vennero introdotti per la prima volta nelle tribù dei nativi americani tramite gli esploratori europei, con l’arrivo di Cristoforo Colombo, quando egli portò due dozzine di cavalli andalusi nel suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo, nel 1493.

Nessuno poteva certo immaginare in quel momento come la reintroduzione del cavallo nel Nord America avrebbe letteralmente trasformato la successiva vita dei nativi americani, specialmente per gli indiani delle pianure, prevalentemente cacciatori di bisonti, per i quali questo animale forte e veloce divenne così rapidamente indispensabile, tanto da essere considerato un dono sacro arrivato dal cielo.

Quando gli esploratori spagnoli arrivarono con i cavalli in quelle nuove terre scoperte, che essi credevano erroneamente fossero le “Indie Occidentali”, le tribù native ne rimasero dapprima terrorizzate, perché non avevano mai visto una creatura sopra la quale cavalcassero degli esseri umani.

Man mano che più tribù native incontravano la presenza del cavallo, quella paura iniziale lasciò il posto allo stupore per la velocità e la potenza di questo splendido animale.

Con la rivolta del 1680, dopo aver sopportato un secolo di dura dominazione spagnola, gli ormai non più pacifici indiani Pueblo cacciarono violentemente gli spagnoli da Santa Fe e ne catturarono i loro preziosi cavalli, che poi scambiarono con le altre tribù vicine.

Fu così che i cavalli si spostarono rapidamente tra i territori attraverso nuove rotte di scambi, verso i Navajo, gli Ute e gli Apache, poi verso i Kiowa ed i Comanche delle pianure meridionali e gli Shoshone delle montagne occidentali.

Nel 1700 circa, i cavalli raggiunsero anche i Nez Perce ed i Blackfoot dell’estremo nord-ovest, e viaggiarono verso est fino ai Lakota, i Crow ed i Cheyenne delle pianure settentrionali.

I primi scambi di fucili nelle tribù native resero i guerrieri indiani armati a cavallo una presenza formidabile nelle Grandi Pianure, modificando così la preziosa caccia al bisonte.

I bisonti sono animali grandi, forti e veloci. Prima che i cavalli arrivassero nelle pianure, i cacciatori nativi inseguivano le grandi mandrie a piedi, ma questo rendeva il loro lavoro di caccia molto difficile e soprattutto pericoloso, con scarse probabilità di successo.

Una tra le tecniche più usate consisteva in quella di spaventare ed inseguire questi animali verso una ripida scogliera rocciosa, per farli poi cadere nel vuoto, comunemente conosciuta con il termine di Buffalo Jump (letteralmente il “salto del bisonte”).

Una volta feriti, dopo essere caduti dalla scogliera, le donne della tribù potevano macellare più facilmente le carcasse di questi grandi animali.

Fonte di vita e sostentamento per gli indiani delle pianure, nulla del bisonte sarebbe andato sprecato!

La ritrovata velocità ed efficienza della caccia a cavallo forniva loro un’abbondanza di carne di alta qualità, pelli per vestiti o tepee, ed anche pelle grezza per farne poi utili sacche.

Con l’aiuto di una slitta di legno trascinabile, una treggia chiamata “travois”, i cavalli potevano aiutare a spostare agevolmente interi villaggi, per seguire in modo nomade la caccia stagionale.

La competizione tra gli indiani delle pianure per avere i migliori cavalli da caccia e da guerra trasformò pian piano le vecchie tribù alleate in rivali.
Più si possedevano migliori cavalli, più significava che si riusciva ad espandere il proprio territorio di caccia, portando ancora più ricchezza alla propria tribù.

Razziare e catturare i cavalli nemici era una tattica chiave della guerra intertribale e veniva considerato un rito d’onore per un giovane che cercava di guadagnarsi il posto di vero guerriero.

I giovani camminavano per molti chilometri fino ad un accampamento rivale, andando in cerca dei cavalli più pregiati, aspettando il calare della notte per fare la loro mossa di razzia, tentando di non essere scoperti e soprattutto di uscire vivi dal villaggio nemico con il proprio bottino animale.

Per i nativi americani, dipingere un cavallo da guerra era un atto sacro che esprimeva potere, non solo nei colori realizzati dalla natura, ma anche nella scelta dei simboli dipinti.
Nelle culture dei nativi americani, i cavalli significavano potenza, ricchezza e sopravvivenza.

Dipingere un cavallo per la battaglia, per una caccia al bisonte, o per la celebrazione di una razzia di cavalli riuscita, era quindi considerato un atto sacro, una preghiera al Creatore per la sopravvivenza che si credeva aumentasse la forza fisica e spirituale, galvanizzando insieme cavallo e guerriero come fossero “un tutt’uno” in battaglia.

Rappresentava perciò una questione seria, che significava per loro vita o morte.
Ma era, al tempo stesso, anche un mezzo di espressione creativa ed artistica.

Quando un indiano preparava il suo cavallo per la battaglia, egli annodava la coda del cavallo per impedire al nemico di afferrarla ed usarla per smontarlo da cavallo.

Raccoglieva la criniera in ciuffi, legandola, per evitare che si impigliassero nell’arco e nella freccia durante il combattimento.

Sebbene il simbolismo della pittura del cavallo da guerra non fosse univoco nelle varie culture delle tribù native, c’erano comunque sia alcuni temi prevalenti scelti con cura, che potevano essere intesi a dare protezione, ad indicare i problemi che li attendevano o che parlavano del cuore coraggioso del cavallo da guerra. Alcuni simboli raccontavano al tempo stesso anche l’affetto del cavallo per il proprio guerriero.

Ogni simbolo aveva il suo significato ben specifico e lo scopo per cui era stato utilizzato veniva determinato dalla natura del lavoro pericoloso che il cavallo da guerra sarebbe stato chiamato a svolgere.

Il legame più comune era la credenza di parentela con la natura, la terra e tutti i suoi animali, e la convinzione che la natura impartisse un potere vitale nelle pitture stesse e anche nei simboli, anch’essi solitamente tratti dalla natura.

Il simbolo di un cerchio attorno all’occhio e alle narici del cavallo veniva utilizzato per amplificare una visione vigile dell’animale ed un acuto senso dell’olfatto, rafforzando i suoi sensi per la battaglia.

Il simbolo di una linea retta indicava una rotta che portava alla vittoria.

Il simbolo a zigzag di un tuono nelle zampe anteriori del cavallo rappresentava la velocità e la furtività. Veniva usato per compiacere il dio della guerra indiano, indicando l’armonia con il Grande Spirito, preannunciando la vittoria degli indiani sul terreno.

Il simbolo di una punta di freccia su tutti e quattro gli zoccoli rendeva il cavallo veloce ed agile.

Il simbolo della freccia di fuoco avrebbe causato problemi al nemico, ed a sua volta avrebbe aggiunto forza al guerriero.

Il simbolo dell’impronta della mano destra o sinistra sul petto del cavallo mostrava che aveva abbattuto un nemico.

Il simbolo delle pietre della grandine serviva come preghiera affinché la grandine cadesse sul nemico del guerriero, anticipandone la sfortuna e la sconfitta.

Il simbolo di due barre a forma di croce indicava che il cavallo ed il suo cavaliere erano sfuggiti ad un’imboscata.

Il simbolo delle impronte degli zoccoli dipinte sui cavalli da guerra rappresentava il numero di cavalli dei nemici rubati durante le incursioni riuscite.

Il simbolo dell’impronta della mano sinistra sul fianco destro del cavallo, dipinta di rosso (comunemente conosciuto con il termine di “Pat Hand Print”), era l’onore più alto e veniva riservato esclusivamente al cavallo che aveva riportato a casa illeso il suo padrone da una missione molto pericolosa.

Il simbolo dell’impronta della mano capovolta veniva utilizzato per gli uomini che avrebbero intrapreso una rischiosa missione di vita o morte, rappresentando così uno tra i simboli più preziosi che un guerriero potesse apporre sul suo cavallo.

Il simbolo della mano sulla spalla destra del cavallo raffigurava una furiosa battaglia nella quale un guerriero era ferito a morte. Le prime leggende su questa impronta raccontano che, prima della morte, un coraggioso guerriero diede una pacca sulla spalla destra del suo cavallo, lasciando così un’impronta insanguinata sulla bestia affinché tutta la sua gente vedesse il suo messaggio di morte quando il cavallo sarebbe tornato al loro accampamento.

Le varie strisce di colore sulla faccia di un cavallo indicavano infine la riuscita sconfitta di un villaggio nemico.

Tutte le vernici utilizzate derivavano da fonti animali, vegetali o minerali, ed i colori stessi avevano significati importanti:

Il Viola era associato alla magia, al mistero e al potere spirituale, e non era generalmente usato per la battaglia, ma per lo più da sciamani e uomini e donne di medicina per le cerimonie spirituali.
Per produrre i pigmenti di colore viola venivano prevalentemente usati il mirtillo, l’echinacea e l’ibisco selvatico.

Il Giallo aveva significati diversi. Poteva significare la morte e che il guerriero fosse disposto a combattere fino alla morte. Simboleggiava anche l’intelligenza, un cuore forte e che il guerriero viveva una buona vita.
Per produrre i pigmenti di colore giallo venivano prevalentemente usati l’arbusto bixa o i calcoli biliari del bisonte.

Il Blu veniva associato al cielo ed all’acqua, ed evocava saggezza, fiducia, speranza.
Per produrre i pigmenti di colore blu venivano prevalentemente usati il letame di anatra, ma anche semi di girasole, fiori o ossidi.

Il Verde, rappresentava il colore della natura, dell’armonia, della sopravvivenza e della guarigione.
Per produrre i pigmenti di colore verde venivano prevalentemente usati il muschio, delle bacche, le alghe o il minerale di rame.

Il Bianco era il colore della pace, della prosperità, della sicurezza. Ma poteva significare anche il lutto. Alcuni indiani dipingevano i loro volti di bianco per acquisire il potere del lupo nella caccia e talvolta dipingevano anche di bianco i volti dei loro cavalli, per ottenere protezione e sopravvivenza in battaglia.
Per produrre i pigmenti di colore bianco venivano prevalentemente usati il gesso, il calcare, l’argilla, i gusci d’uovo o le conchiglie.

Il Nero era il colore della battaglia e significava la forza, il successo in battaglia ed il ritorno vittorioso al proprio accampamento. Alcuni nativi annerivano i propri volti, e spesso quelli dei loro cavalli, per mostrare che il loro fuoco della vendetta era stato vinto insieme al loro nemico.
Per produrre i pigmenti di colore nero venivano prevalentemente usati il carbone mescolato con grasso d’orso.

Il Rosso, infine, simboleggiava la forza in battaglia e nella caccia, il potere ed il successo. E poiché la caccia ed il successo in battaglia significavano la sopravvivenza della tribù, simboleggiava per questo anche la felicità e la bellezza.
Per produrre i pigmenti di colore rosso venivano prevalentemente usati l’ossido di ferro, le radici, le bacche, e le barbabietole.

Venite a scoprire insieme a me
il significato culturale dei simboli dipinti sui cavalli,
Patrimonio dei Nativi Americani!

Vi invito a seguirmi e ascoltarmi fino alla fine dei miei tanti racconti:
Attraverso lo storytelling delle mie molteplici esperienze!

– Maurizio –

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Photo © Brady Willette

Photo © Brady Willette

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